IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
 contro Iori Graziano, Cagnolati Davide e Mandia Giovanna;
    Letta  la  richiesta  del  p.m.  di  acquisire  al  fascicolo  del
 dibattimento  il  verbale  delle dichiarazioni rese nel corso del suo
 interrogatorio al g.i.p. nell'udienza preliminare da Lenzini Rossano,
 imputato di procedimento connesso, definito con sentenza  del  g.i.p.
 10  febbraio  1991,  al  fine  di  darne  lettura essendosi lo stesso
 Lenzini, oggi comparso, avvalso della facolta' di non  rispondere  ex
 art. 210 del c.p.p.;
    Vista  l'opposizioone della difesa dell'imputato la quale richiama
 il tenore letterale dell'art. 513 cpv. del c.p.p. ai sensi del  quale
 la  lettura e' consentita nella sola ipotesi "in cui non e' possibile
 ottenere la presenza del dichiarante";
    Ritenuto che il collegio ritiene di dover sollevare  d'ufficio  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  nell'art.  513  cpv. del
 c.p.p. nella parte in cui non consente la lettura delle dichiarazioni
 rese al g.i.p. da imputato  di  reato  connesso  e  citato  ai  sensi
 dell'art.  210  del  c.p.p.  qualora  lo  stesso comparso dichiari di
 avvalersi della facolta' di non rispondere;
    Ritenuto che la questione appare rilevante ai fini della decisione
 del presente procedimento perche'  l'attuale  formulazione  nell'art.
 513 del c.p.p. non consentirebbe l'ingresso di una fonte di prova che
 la pubblica accusa ritiene essenziale;
     che  la  questione  non  appare  manifestamente  infondata ove si
 consideri che analoga questione  di  legittimita'  costituzionale  e'
 stata  sollevata  dal  tribunale di Roma con ordinanza 22 giugno 1991
 (Gazzetta Ufficiale n. 34 del  28  agosto  1991),  con  ordinanza  28
 giugno  1991  (Gazzetta Ufficiale n.   40 del 9 ottobre 1991) nonche'
 dal tribunale di Trapani con  ordinanza  30  ottobre  1991  (Gazzetta
 Ufficiale n. 6 del 5 febbraio 1992);
      che  il  collegio  ritiene  di aderire in toto facendole proprie
 alle argomentazioni esposte dal tribunale di Roma nella ordinanza  28
 giugno  1991  e  dal  tribunale di Trapani nella ordinanza 30 ottobre
 1991 nel seguente tenore:
    La lettura dell'intero articolo 513 del  c.p.p.  alla  luce  della
 regola  generale sulla valutazione delle dichiarazioni del coimputato
 della stesso reato ovvero di reato  connesso  dettata  dall'art.  192
 terzo  comma  del  c.p.p.  e'  sufficiente  per  fare  apprezzare con
 immediatezza la incongruita' immotivata e quindi la  irragionevolezza
 e  la  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  della  mancata
 previsione nell'ultimo periodo del secondo comma  dell'art.  513  del
 c.p.p.  della  possibilita'  di dar lettura dei verbali contenenti le
 dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art.  210  del  c.p.p.
 non  solo nel caso espressamente e unicamente previsto dalla norma de
 quo - di impossibilita' di avere la  presenza  del  (dichiarante)  ma
 anche  nel  caso  -  come  quello  di  specie  (che  e'  anche quello
 statisticamente piu' frequente nei processi  contro  la  criminalita'
 organizzata  -  in  cui  il  "dichiarante" compaia ma dichiari di non
 voler rispondere alle domande.
    E'  opinione  diffusa che le norme sulla lettura abbiano carattere
 eccezionale  nel  nuovo  processo  penale,   e   quindi   non   siano
 suscettibili  di  interpretazione  analogica:  non puo' che prendersi
 atto della formulazione del secondo comma dell'art. 513  del  c.p.p.,
 che,  nel  suo  chiaro  e  inequivoco tenore letterale, non autorizza
 questo collegio a supplenze interpretative e detta una disciplina del
 tutto diversa da quella prevista del primo comma per le dichiarazioni
 rese dall'imputato nel proprio procedimento la' dove e' espressamente
 prevista la acquisizione e la lettura  delle  dichiarazioni  rese  in
 precedenza  dal  contumace  o dall'imputato che rifiuta di sottoporsi
 all'esame;  cosi'  come   non   puo'   che   prendersi   atto   della
 differenziazione  di trattamento prevista nello stesso secondo comma,
 tra gli imputati di reati connessi o separatamente giudicati  la  cui
 presenza  non  si  possa  ottenere  e quelli che invece compaiono, ma
 fanno scena muta; nel primo caso le dichiarazioni rese in  precedenza
 sono   accquisibili;   nel  secondo  caso  non  lo  sono,  stante  la
 formulazione attuale della norma che non lascia spazio all'interprete
 ordinario.
    E allora e' piu'  che  giustificato  domandarsi  se  una  siffatta
 differenziazione  tra  imputati, coimputati, coimputati separatamente
 giudicati  e  imputati  di  reati  connessi   abbia   una   razionale
 giustificazione in una obiettiva differenza di situazioni processuali
 e  sostanziali  ovvero se la discriminazione - sia essa frutto di una
 malcoordinata formulazione normativa o  di  una  precisa  scelta  del
 legislatore  delegato  -  si  presenti  come  ingiustificata sotto il
 profilo razionale e si traduca percio' in una irrazionale menomazione
 del potere-dovere del giudice penale di  giudicare  conoscendo  e  di
 motivare  adeguatamente  la  valutazione  delle  prove legittimamente
 prevista  dalla  norma  processuale  e   altrettanto   legittimamente
 acquisibile al processo.
    Orbene,  non  pare  al  collegio  che  sussista  quella differenza
 sostanziale di posizione che giustifichi un  trattamento  processuale
 diverso,  quanto alle letture tra imputati (e coimputati del medesimo
 processo) e imputati del medesimo reato ma  separatamente  processati
 ovvero  imputati  dei reati connessi: non vi e' dubbio infatti che si
 tratta sempre di persone cui viene mosso un addebito di reato  e  che
 hanno,  quindi,  una  particolare  veste  e interesse processuale per
 rendere dichiarazioni sul fatto che viene loro addebitato insieme  ad
 altri  e  di  soggeti infine che hanno reso la loro dichiarazione con
 tutte le particolari cautele e garanzie previste dal codice di rito.
    Non  basta:  non  pare  che  sussita,  poi,   nessuna   differenza
 sostanziale  ta  le  ipotesi previste nel secondo comma dell'art. 513
 del c.p.p. infatti non e' dato comprendere perche', se il dichiarante
 non e' piu' reperibile ovvero, comunque, non  si  riesce  a  portarlo
 dinanzi  al  giudice,  le  dichiarazioni  rese  in precedenza possono
 essere lette e valutate mentre invece se compare  e  non  vuole  piu'
 parlare,  tutto  cio' e' stato legittimamente acquisito in precedenza
 non possa essere acquisito e debba essere sottratto alla  valutazione
 del giudice.
    Dunque  non  solo  non  esistono  ragioni  sostanziali  valide per
 distinguere   tra   le   posizioni   teste'   indicate,    ma    tale
 differenziazione  pare  piu'  incongrua  -  e fonte di ingiustificata
 disparita' di trattamento e  di  ragionevolezza  normativa  -  se  si
 tengono presenti le norme generali dettate dal codice di rito in tema
 di valutazione delle prove.
    Infatti,  il  nuovo  codice  mostra  chiaramente  di respingere il
 principio della inutilizzabilita' ex legge  delle  dichiarazioni  del
 coimputato   dello  stesso  reato  ovvero  di  connessa  e  giudicato
 separatamente: anzi detta la regola generale che dette  dichiarazioni
 possono  essere  utilizzate  purche' riscontrate da elementi di prova
 che ne confermino l'attendibilita': art. 192 terzo comma  del  c.p.p.
 Si  tratta  di  una  regola  generale  che  tra  l'altro equipara gli
 imputati del medesimo processo "e coimputati in senso  stretto"  agli
 imputati del reato connesso.
    Ebbene,   dopo   aver  posto  tale  regola  generale,  l'incongrua
 formulazione della ultima parte del secondo comma dell'art.  513  del
 c.p.p.  viene  a  vanificare  la  concreta  operativita' della regola
 generale teste' ricordata, impedendo (e, si ripete, sono i casi  piu'
 frequenti   nei   procedimenti  piu'  gravi  come  quelli  contro  la
 criminalita'  organizzata)  al  giudice  di  potere   compiere   tale
 valutazione  allorche'  il  medesimo  soggetto  processuale  ossia il
 coimputato di reato  connesso  separatamente  giudicato  non  si  sia
 comunque  sottratto  alla  comparizione bensi' sia comparso decidendo
 pero' di non rispondere piu' ad ulteriori domande.
    In tal modo viene irrazionalmente ed arbitrariamente  discriminata
 la  posizione del coimputato ex art. 210 del c.p.p. rispetto a quella
 dell'imputato del giudizio in corso - il quale sa che  rifiutando  di
 sottoporsi  all'esame  richiesto  da  una  delle  parti e ammesso dal
 giudice, non riuscira' ad impedire, che a richiesta di  parte,  possa
 darsi   lettura  delle  sue  dichiarazioni  e  di  possa  fare  piena
 utilizzazione delle stesse ai fini del giudizio nel merito.
    Il differente regime  delineato  dal  nuovo  codice  di  rito  ha,
 infatti,  per  presupposto  due  contegni processuali sostanzialmente
 simili, ed ambedue concretantisi nel rifiuto di rendere l'esame.
    Ancora piu'  evidente  e'  l'arbitrarieta'  della  discriminazione
 prevista  nell'ambito  dello  stesso  secondo comma dell'art. 513 del
 c.p.p. ove viene diversamente disciplinata  la  acquisibilita'  e  la
 lettura  delle dichiarazioni rese dallo stesso soggetto a seconda che
 costui sia o meno comparso in dibattimento consentendosi  la  lettura
 solo  se  le ricerche e le citazioni - per qualunque ragione anche la
 volontaria irreperibilita'| - non conseguono effetto,  ma  vietandosi
 le  letture  se  invece  il  soggetto compare e dichiara di non voler
 rispondere;
    Non solo in tal modo di finisce  con  l'attribuire  una  sorta  di
 potere dispositivo delle proprie dichiarazioni legalmente rese, che a
 nessuno  meno  che  mai  all'imputato  e'  consentito  dal  codice di
 procedura, ma in ogni caso si subordina alla valutazione di una prova
 di  una   discriminazione   tra   posizione   che   non   ha   alcuna
 giustificazione razionale.
    Dunque   assoluta   ingiustificatezza   del   diverso  trattamento
 riservato  a  posizioni   identiche   o   analoghe   con   intrinseca
 contraddizioni  ai  principi  generali  dettati  da altre norme dello
 stesso codice; non sembra percio' infondato il dubbio  di  violazione
 dell'art. 3 della Costituzione.
    Tale  arbitraria  ed  ingiustificata  diversita' di trattamento si
 risolve inoltre in  una  inammissibile  compressione  dei  poteri  di
 cognizione  del  giudice  nell'esercizio  della giurisdizione sebbene
 questi nel valutare le dichiarazioni rese dal coimputato dello stesso
 reato  ovvero  di  reato  connesso  e  giudicato  separatamente debba
 compiere una obbligatorieta' attivata  di  verifica  in  applicazione
 della  regola di valutazione dettatagli dall'art. 192 terzo comma del
 c.p.p. e quindi non possa riconoscere la valenza  probatoria  a  tali
 dichiarazioni  in se' ma unitamente ad altri elementi di prova che ne
 corroborino l'attendibilita'.
    In altri termini in particolare il criterio di  valutazione  della
 prova  imposto  al giudice dal corrichiamato art. 192 terzo comma del
 c.p.p. pena la rilevabilita' anche di ufficio in ogni stato  e  grado
 del procedimento della sua relazione art. 191 del c.p.p. nel caso del
 coimputato comparso ai sensi dell'art. 210 terzo comma del c.p.p. che
 si  rifiuta  di  rispondere,  non ha modo alcuno di essere applicato;
 poiche' e' inibita la stessa acquisizione  delle  dichiarazioni  rese
 dal  coimputato  nel  processo  separato:  con  la conseguenza che la
 giurisdizione  del  Giudice  in  questo  particolare  caso  sia   ben
 disciplinata  da una regola generale e obbligatoria presidiata da una
 sanzione processuale non ha il minimo spazio per essere esercitata.
    Pare dunque, al tribunale che  il  congegno  normativo  introdotto
 dall'art.  513 secondo comma del c.p.p. in attuazione della direttiva
 n. 76 dell'art. 2 della legge delega n. 81/19/1987,  sia  viziato  da
 violazione  dell'art. 3 della Costituzione, nonche' da violazione del
 principio di costituzione materiale sotteso  dagli  artt.  24  e  112
 della  Costituzione  e  che  puo' essere sinteticamente indicato come
 l'esigenza fondamentale dello Stato - cui corrispondono le  legittime
 aspettative  del  cittadino  -  di  assicurare l'effettivo e completo
 esercizio della giurisdizione penale.
    Di non minore rilievo appare infine una  ulteriore  considerazione
 l'applicazione  della  prescrizione  normativa  dettata dall'art. 513
 secondo comma del c.p.p.  realizza  in  concreto  il  condizionamento
 razionalmente  ingiustificato  dello  stesso esercizio della funzione
 giurisdizionale anche sotto il  profilo  dell'art.  111  primo  comma
 della  Costituzione poiche' in divieto di acquistare le dichiarazioni
 del coimputato citato  ai  sensi  dell'art.  210  del  c.p.p.  -  che
 comparendo  si  rifiuta  di  rispondere - contenenti i riferimenti ai
 fatti rilevanti ai fini della decisione comporta l'impossibilita'  di
 una corretta e adeguata motivazione della decisione.
    In  tal  caso  il  giudice  si  trovera'  a  decidere costretto ad
 ignorare aspetti decisivi del fatto portato alla sua cognizione e non
 potra' soddisfare a pieno esigenze di una motivazione completa e  im-
 mune dai vizi logici art. 606 primo comma lett. e) del c.p.p.
    Le  considerazioni  che precedono inducono pertanto a sollevare la
 questione di illegittimita' costituzionale degli artt.  513,  secondo
 comma  del  c.p.p. e dell'art. 2, n. 76 della legge 16 febbraio 1987,
 n. 81 in relazione agli artt. 3, 24 primo e secondo comma, 111 e 112,
 della Costituzione, nei sensi e termini in precedenza denunciati.